di Giuseppe Sciarra
Avrei voluto non ricevere questa notizia. Eppure così va la vita. Direttamente o indirettamente per l’arco di tutta la nostra esistenza il confronto tra la vita e la morte entrerà nelle nostre vite e non ci toccherà solo in merito alle persone a noi più vicine. Perché l’Arte crea legami speciali con tutte quegli artisti che molto probabilmente non conosceremo mai nella vita reale ma che con le loro opere che siano dischi, quadri, libri, film incideranno in maniera preponderante sui nostri umori, i nostri sentimenti e perfino sulle nostre scelte, così cantanti o registi diventeranno cari amici quanto quelli reali, perché con quello che hanno regalato comunicano qualcosa di unico e speciale che solo il migliore degli amici e l’innamorato ideale sarebbero (ad averceli) in grado di fare.
La morte improvvisa a soli 58 anni del regista Jean Marc-Valée (Dallas Buyers Club, Big Little Lies, Sharp Object) per me è stato un duro colpo – mentre scrivo una valanga di ricordi inondando la mia mente e non posso che esserne commosso e perfino provato. Ho conosciuto questo grande filmmaker nell’ormai lontano 2005 con uno dei suoi film più celebri, C.R.A.Z.Y. Ricordo che lessi per la prima volta di C.R.A.Z.Y in una recensione entusiastica su Rolling Stones Italia che lodava la colonna sonora pazzesca (David Bowie, Rolling Stones, Pink Floyd, The Cure, Elvis Presley, Giorgio Moroder) e il film come opera di iniziazione e di riconoscimento di se stessi. La pellicola parlava di un ragazzo gay che crescendo in una famiglia interamente maschile si confrontava con un mondo eteronormato (ed eteronormativo) a cui non apparteneva e a cui cercha di appartenere per tutta la sua adolescenza e per la prima parte della sua giovinezza, salvo poi ribellarsi e riconoscersi finalmente per ciò che è, venendo accettato alla fine anche dal padre e rafforzando il rapporto affettivo con quest’ultimo.
Vidi C.R.A.Z.Y la prima volta al cinema Madison nei pressi della zona Basilica San Paolo di Roma. Un vivace quartiere universitario che mi accolse a braccia aperte quando mi ero trasferito nella capitale, carico di aspettative verso quel nuovo mondo dove avrei potuto essere liberamente me stesso e vivermi appieno la mia omosessualità con la quale avevo un rapporto conflittuale e difficile e a causa di un certo disamore per me stesso mi faceva rincorrere amori impossibili e immaginari (per citare un altro grande regista canadese Xavier Dolan e il suo Les amours imaginaires) C.R.A.Z.Y mi fece sentire per la prima volta a mio agio con me stesso. Ricordo che piansi in sala in un processo di identificazione (catartico) con l’attore protagonista Marc-Andrè Grodin: il suo Zac era sensibile, dolce, desideroso di esprimersi, coi suoi occhi da sognatore osservava il mondo e lo celebrava come solo un artista sa fare.
Con gli anni il film divenne oggetto di culto, non solo per la comunità lgbtq, ma per tutti gli appassionati di cinema. Una cara amica adorava la pellicola di Vallée perché parlava di una storia universale che è il riconoscimento di se stessi al di là delle famiglia e della società che ci danno dei ruoli che non è detto corrispondano a quello che siamo realmente. E poi c’erano delle scene memorabili nel film che solo i grandi cineasti sono in grado di creare. Una su tutto quella che tributava il Ziggy Stardust di David Bowie e in cui Zac truccato come il personaggio di Bowie cantava a squarciagola “Space Oddity”. Quella scena e quella canzone magica mi diedero la forza con gli anni di realizzarmi come persona e di essere come Zac, una giovane creatura pronta a rinascere per una seconda volta e diventare un tutt’uno con l’universo, più che con la società basata solo su maschere e menzogne. Grazie a Jean Marc-Valée per averci donato C.R.A.Z.Y e altri film che abbiamo amato e che ci hanno insegnato ad amarci. Ci mancherai. Ti immagino cantare “Space Oddity” e sono certo di rivederti nei miei sogni, lì sarai eterno e ci conosceremo caro amico, finalmente.
(27 dicembre 2021)
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