di Laura Salvioli
Come sempre nella vita sono le aspettative a rovinare tutto. Meglio, a volte, fare qualcosa di cui non si è convinti che ci stupisce in positivo che gonfiarsi di grandi speranze e ritrovarsi delusi. Come avrete capito sono andata in sala con grandi aspettative che, in parte, sono state disattese. La Rohrwacher al suo quarto film ci propone uno archeologo/tombarolo inglese che vaga per un non ben definito territorio del Lazio. E con le sue doti da rabdomante scova tombe etrusche trafugandole per poi vedere i preziosi ritrovamenti ad un fantomatico personaggio di nome “Spartaco”.
La trama è interessante e carica di potenzialità. La regista riesce, comunque, a creare un mondo che non esiste e di questo bisogna darle merito. Sceglie come protagonista un attore inglese non a caso, a mio parere, visto che i padri della archeologia, insieme ai tedeschi, sono proprio gli inglesi. Interpretato da Josh O’ Connor, a cui sono affezionata per la mitica serie The Crown; tuttavia, il nostro tombarolo che vive in una baracca è un personaggio con cui è difficile empatizzare. Non per via dell’interpretazione attoriale, quanto più per la sceneggiatura, che, a mio parere, non permette di capire appieno le motivazioni del suo essere così forastico. Il nostro Arthur (il protagonista appunto) parla poco, si esprime spesso con versi, ed anche con la “banda di tombaroli” con cui va a trafugare reperti ha un rapporto molto respingente. La banda in questione è composta di personaggi molto stravaganti, direi “felliniani”, che sembrano sfruttare il “dono” di Arthur al solo fine di fare soldi. Tuttavia, sebbene l’intenzione della banda sia chiara, quella del protagonista a mio parere non lo è. Lui sembra essere avulso da quel gruppo di scalzacani, pare stia cercando altro, oltre ai reperti.
Infatti, già dalla locandina meravigliosa del film che si ispira ai tarocchi si capisce che i tombaroli sono solo un pretesto per parlare dell’aldilà. Il tema del doppio, rappresentato appunto da “l’appeso” in locandina è ripetuto in varie inquadrature e si riferisce proprio al collegamento con l’aldilà. Il protagonista, infatti, ha perso la donna che amava in circostanze misteriose e, grazie ai suoi poteri, la rivede spesso in immagini fugaci. Le segue aƩraverso un filo rosso come una moderna Arianna in un labirinto che è, forse, il suo percorso verso l’aldilà. Come si può notare le tematiche sono accattivanti, ed anche alcune scelte di regia oltre che le musiche che sono in parte canzoni cantante da un menestrello che funge da moderno “coro” da tragedia greca. Tuttavia, a mio parere, si sarebbe dovuta concentrare solo sul tema dell’aldilà senza tirare in ballo gli etruschi e soprattutto l’arte antica ed il rapporto che abbiamo con essa.
Temi fin troppo complessi ed estremamente “terreni” rispetto a quello di cui sembra volesse parlare la regista. Dunque, non dico sia un film mal riuscito, tuttavia, sono convinta che, se fosse “applicata” di più avrebbe potuto creare una fiaba onirica, un improbabile viaggio verso la morte che forse è solo una nuova vita, temporanea ed in continua evoluzione come solo la vita stessa sa essere.
(15 dicembre 2023)
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