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mercoledì, Febbraio 5, 2025

Il Signore delle Formiche. Un film necessario anche se l’arte non deve esserlo

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di Laura Salvioli
Questo film di Gianni Amelio appena uscito nelle sale è stato presentato al Festival di Venezia in concorso e narra l’arresto e la condanna per plagio di un professore emiliano negli anni ’60. Ovviamente, il reato di plagio era stato creato appositamente dal Codice Rocco per punire in realtà l’omosessualità che non era formalmente presente come fattispecie. Come chiaramente dice Elio Germano, che nel film interpreta il giornalista Ennio Scribani, per il fascismo in Italia non ci sono omosessuali quindi non può esistere questo termine nel Codice penale. Dunque, viene inventato un reato generico e aperto a varie interpretazioni che permette di far cadere sotto il suo ampio cappello l’omosessualità che era, chiaramente, il vero bersaglio. Il nostro paese degli anni ’60 è perfettamente rappresentato nel film attraverso personaggi molto azzeccati. A partire dal padre del co protagonista (il presunto plagiato) che si vede solo a tavola a strafogarsi o dall’amico di famiglia che critica la moglie perché insegna ai figli poesie con il rischio di farli diventare “culattoni”, passando per il ragazzetto di paese che in tribunale dice di essere stato plagiato dal professore accusato anche se in realtà si faceva pagare dallo stesso per delle prestazioni sessuali. Chiude la triste carrellata la figura della madre ipercattolica del presunto plagiato che crede fermamente di fare il bene del figlio che deve essere “corretto”, figura che è a mio parere la più riuscita. È, infatti, la tipica pia donna così pia che non manca di andare a minacciare la indifesa madre del presunto plagiatore cioè il professor Braibanti. Una perfetta rappresentazione della ipocrisia cattolica che mai abbandonerà del tutto questo paese.
Insomma, figure non del tutto avulse anche dalla realtà attuale. Credo che padri e madri di questo tipo ne esistano ancora molti in Italia.

Devo ammettere che non mi piace il concetto di film necessario, mi annoia, toglie tutto il gusto all’arte di essere senza scopo, ma mi rendo conto che solo così si possono raccontare alcune storie. Ho gradito molto i rifermenti letterari che vengono fatti e parte della sceneggiatura in generale e ho adorato come sempre Elio Germano che renderebbe credibile e pieno di significato anche l’elenco telefonico se lo recitasse. Ho apprezzato meno Lo cascio che ha una recitazione molto più calcata; tuttavia, credo sia stata richiesta per rendere il personaggio in parte anche antipatico e pieno di sé. Doveva essere il tipico professore che non sa far nulla e quindi insegna e nel suo paesello emiliano si sente un re non avendo confronto con più vaste realtà. In conclusione, non lo trovo un film paragonabile al suo precedente “l’intrepido” che è per me un capolavoro. Tuttavia, è uno spaccato di un Italia degli anni ’60 che ci fa riflettere anche sull’ Italia di oggi in cui tutto sembra cambiato ma tutto rimane, soprattutto su alcuni temi, assolutamente com’era (com’è).

 

(1 ottobre 2022)

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